Il fascino oscuro della decadenza: i luoghi abbandonati più suggestivi d’Europa
"Non è la destinazione, è il viaggio", si legge sul sito di Romain Veillon, perché al centro del suo lavoro c'è appunto un viaggio, un viaggio fatto di immagini attraverso i luoghi più cupi, inquietanti e sinistri d'Europa ma che proprio per la loro decadenza riescono a conservare un fascino inspiegabile. "Per quanto mi ricordo, sono sempre stato affascinato dai luoghi abbandonati, quindi non c'è da stupirsi che dopo un paio di esplorazioni infantili, ho deciso di prendere una macchina fotografica con me per riportare i ricordi dei miei viaggi", spiega il fotografo. E i suoi soggetti preferiti sono proprio i luoghi desolati: tre anni trascorsi tra le rovine comuniste in Bulgaria o Ungheria, nelle ville e nei palazzi incredibili d'Italia passando per le enormi fabbriche e centrali elettriche in Francia o in Belgio, per cogliere con la fotografia la bellezza estetica che emerge dalla totale desolazione.
"L'uomo è sempre stato affascinato dal concetto di cose effimere e transitorie intorno a sé. Odori, polvere, vegetazione o addirittura muffa, tutti questi fantasmi del passato ci ricordano che siamo solo di passaggio qui e alla fine, tutto torna a terra. Per coloro che sanno lasciare che la propria mente vaghi, questi luoghi ricchi di storia, dove è il tempo si è congelato, lasciano immaginare quello che doveva essere non molto tempo fa. Soprattutto, ci permettono di creare le nostre storie. Tutti questi dettagli di una vita dimenticata sono testimonianza commovente, divertente e rievocazione nostalgica che è sufficiente per accendere la nostra immaginazione. Attraverso queste fotografie, scoprirete queste memorie perdute e, se potete, cercate di indovinare quali avventure si nascondono. Buona esplorazione!", scrive Romain Veillon agli estimatori delle sue fotografie. E alla bellezza indiscussa delle sue fotografie noi possiamo solo aggiungere che "Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi", come diceva Marcel Proust, gli occhi di Romain Veillon.