Il museo digitale delle opere che non esistono
COS’È MoRE? E' un museo digitale che raccoglie, conserva ed espone on-line progetti non realizzati di artisti del XX e XXI secolo. Il museo raccoglie ed espone solo progetti che siano stati appositamente pensati per occasioni specifiche in precisi contesti anche se non necessariamente su committenza, e che non siano stati realizzati per motivazioni tecniche, logistiche, ideologiche, economiche, morali o etiche. Il museo ha lo scopo di valorizzare, conservare e studiare attraverso progetti di ricerca e mostre i materiali sfruttando appieno e declinandosi su tutte le potenzialità attuali del web. La conservazione del progetto all’interno del museo non preclude all’artista la possibilità di realizzarlo in altro contesto o in altra forma. Nasce da un’idea di Elisabetta Modena e Marco Scotti che si occupano di gestire gli archivi, programmare le esposizioni temporanee e l’attività editoriale e di dibattito insieme a un collettivo di ricercatori, studiosi e project manager, e si avvale della collaborazione e consulenza di un comitato scientifico e di curatori esterni. Il museo-sito è composto da: un archivio di progetti interamente in formato digitale; uno spazio riservato a esposizioni temporanee; una sezione destinata a ospitare interventi critici e approfondimenti . Il museo accetta donazioni di singole o più opere non realizzate di ogni autore in formato digitale (per i criteri di raccolta, digitalizzazione e donazione dei materiali si rimanda alle “linee guida”). La donazione si intende con diritto di usufrutto dell’artista (pur con indicazione della courtesy del museo). La donazione non implica alcun impedimento in caso l’artista abbia successivamente la possibilità di realizzare il progetto. Il museo garantisce la tutela del rispetto dei diritti di proprietà intellettuale. Lo scorso 20 giugno sono state presentate online le 9 nuove “acquisizioni” donate dall’austriaco Erwin Wurm, dal duo al femminile goldiechiari e da Massimo Uberti, che portano a 17 il numero degli artisti invitati a partecipare fino ad ora, tutti nomi di rilievo internazionale come Jonathan Monk, Ugo La Pietra, Cesare Pietroiusti, Paolo Scheggi, Davide Bertocchi, Davide Mosconi, Silvio Wolf, Grazia Varisco, Regina Josè Galindo e Jeremy Deller (protagonista anche del Padiglione inglese a questa Biennale di Venezia).
Gli artisti hanno aperto i propri archivi dove erano conservati quei progetti che, per motivazioni di ordine tecnico, logistico, ideologico, economico o etico, non sono mai stati realizzati, come quelli contenuti nel volumetto Small proposal book risalente agli anni giovanili di Jonathan Monk o come il progetto di Cesare PietroiustiMine Vaganti, nato dall’idea di inserire arbitrariamente nel sistema dell’arte artisti o critici inesistenti tramite false opere o falsi interventi debitamente pubblicizzati. Il Cannocchiale ottico percorribile di Paolo Scheggi era stato progettato nel 1968 per la Triennale milanese nell’ambito della mostra “Interventi nel paesaggio” che non vide mai la luce, mentre era forse un po’ troppo ambiziosa la Meteorite al contrario di Davide Bertocchi: il lancio nello spazio di una normale pietra che avrebbe comportato una traiettoria opposta a quella che solitamente conduce un asteroide che si imbatte nel nostro pianeta. La performance di Regina Josè Galindo, rifiutata dal museo MADRE di Napoli, prevedeva che l’artista indossasse un giubbotto anti-proiettile e si facesse sparare, allo stesso modo in cui la Camorra si allena per omicidi a breve distanza. Senza dubbio più scenografico il menhir di Jeremy Deller, ideato per evidenziare le entrate del parco olimpico di Londra 2012 e la gigantesca barca-fontana schiantata su una facciata della sede della società EnBw di Karlsruhe partorita dall’immaginario surreale di Erwin Wurm.