La mostra della Fondazione Pinault a Punta della Dogana
Tre installazioni e un grande schermo che proietta le evoluzioni isteriche ed eccessive di persone chiuse in una stanza, che di fronte alla telecamera si travestono ma non si capisce bene se si divertono davvero. I due curatori, Caroline Bourgeois e Michael Govan, che hanno intitolato la loro mostra Prima Materia, hanno scelto di cominciare da quest’opera per sottolineare come l’arte contemporanea punta a esercitare la sua influenza nella vita pubblica e privata, non a imporre nelle sue opere modelli di verità.
Secondo i curatori ha, nella sua trasversalità e nel suo rifiuto di ogni gerarchia, la stessa definizione dell’arte contemporanea, che va alla ricerca di verità essenziali ma senza rigettare la realtà nella sua cacofonica composizione. Ampio spazio è dedicato a opere dell’Arte Povera. I tronchi disassemblati di Giuseppe Penone, gli igloo di Mario Merz, i lavori intellettuali di Giulio Paolini, segno di un interesse di mercato che lascia ben sperare. L’essenzialità degli elementi su cui lavora il movimento italiano costituiscono, perciò, uno degli estremi della ricerca dei curatori della mostra nel rintracciare gli elementi fondamentali su cui si esercita l’arte. L’altro estremo, invece, è la sofisticazione a volte eccessiva del mondo contemporaneo, la polvere e il sangue, oppure l’eccesso della ricchezza che attraverso il mercato finisce per contaminare il lavoro degli artisti, in fondo testimoniando anche in questo una delle grandi tendenze del nostro tempo. L’altro estremo, cioè, è il caos del reale, che l’arte indaga fino all’essenziale ma guai se lo volesse reprimere o rifiutare. Allo spettacolo vario e disordinato del mondo, sono dedicate, così, le opere di Adel Abdessemed, Llyn Foulkes, Marlene Dumas e tanti altri. Un percorso fatto di eccessi e di opposizioni universali che conduce come un viaggio iniziatico a scoprire che un centro nevralgico, un cuore prezioso alla fine esiste. Rappresentato nella mostra dall’installazione di James Lee Byars, il quale ha trasformato l’ultima sala, quella appuntita, tutta in fondo alla Dogana, in un grande ambiente silenzioso, foderato di tessuti dorati e con al centro un grande matassa di corda che aspetta di essere dipanata.