Munari politecnico al Museo del Novecento
"Bruno Munari ha utilizzato l’arte come primaria forma espressiva. Prima della grafica, del design, della pedagogia, dell’editoria l’arte guidava il genio creatore di questo autore", spiega Marco Sammicheli, che ha curato la mostra dedicata a Munari politecnico. Questa mostra prosegue un percorso incominciato nel 1996 con l’importante esposizione delle opere della collezione Vodoz-Danese nella sede della Fondazione, occasione in cui si era iniziato ad analizzare il rapporto dialettico tra Munari e una più giovane generazione di artisti come Enzo Mari, Max Bill, Franco Grignani e Max Huber, o figure che con Munari hanno mantenuto un rapporto ideale in termini di capacità e ispirazione, come Giulio Paolini e Davide Mosconi.
Fin dall’epoca delle Macchine inutili, passando dal periodo del Movimento Arte Concreta degli anni Cinquanta, Munari con sculture (Sculture da viaggio) e tele astratto-geometriche (Negativi-positivi), ha indagato il rapporto tra opera e spazio architettonico. L’aspetto che più colpisce di Munari, è la sua capacità di captare, come un rabdomante, le linee essenziali dei fenomeni artistici. La mostra è un percorso esplicativo del rapporto dell'artista con la civiltà della tecnica: le nuove forme sono quelle dello Sputnik, delle televisioni e delle automobili che per convogliarle nell’arte, Munari non solo ha realizzato opere multiple (Strutture continue) per Bruno Danese, ma ha anche immaginato un’archeologia del futuro, ironizzando sulla stessa idea di progresso (Fossili del 2000); o con Milano attraverso gli “oggetti inutili”: dai manifesti alle copertine di riviste, i suoi disegni dialogano col collage futurista, il disegno razionalista e la prassi surrealista.
"I futuristi come hanno accolto le tue macchine? Non molto bene. A Marinetti dava fastidio il titolo. Perché «macchina inutile»? Macchina, splendore!".
Bruno Munari ha voluto conferire a idee semplici un’adeguata espressione formale. Così ha attraversato la pittura, la scultura, la grafica, il design e la pedagogia, fiducioso nella fantasia del pubblico. Le sue opere rappresentano anche una narrazione “per forme” dei processi creativi dal punto di vista dell'artefice. Nel corso della sua attività, la rete di rapporti intessuta con molti altri artisti italiani e stranieri, ha permesso inoltre che il suo lavoro s’intrecciasse con l'articolato panorama modernista del secolo scorso.
E a conclusione del percorso, le seguenti parole di Munari sembrano perfette per raccontare la complessità della figura dell'artista e il suo personale concetto di fantasia: "Il luogo della Macchina era lontano. […]Passavamo uno alla volta sulla stretta passerella di legno che collegava il mulino alla riva. […] Tutta la Macchina era di vecchio legno ormai grigio […] cigolava, scricchiolava, borbottava, gorgogliava […]. La Grande Ruota era uno spettacolo continuamente variato […] E mentre i miei amici correvano in tutti gli angoli praticabili del mulino, cercavano di scassinare la porta della capanna, tiravano sassi agli uccelli acquatici; io ero là, vicino alla Grande Ruota, con l’acqua del fiume che passava continuamente sotto le assi sulle quali ero appoggiato, come sospeso per aria, ad ammirare lo spettacolo continuo dei colori, delle luci, dei movimenti della Grande Ruota. Oggi come oggi, sono andato in macchina a vedere se c’era ancora il mulino; la strada è brevissima, l’argine è basso, il mulino non c’è più".