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Nuove polemiche su Expo2015: 750mila euro a Germano Celant per consulenze

Nonostante i conti in rosso di Expo 2015, milioni di euro verranno destinati solo a mostre e curatori: scoppia un caso mediatico contro il critico d’arte strapagato.
A cura di Clara Salzano
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Dall’8 Maggio, Expo è sotto indagine giudiziaria in merito alle possibili infiltrazioni della ‘ndrangheta negli appalti e all’affaire delle mazzette, e l'evento ha già perso molta credibilità internazionale. A dare una botta definitiva al futuro, già incerto, della manifestazione hanno contribuito le ultime indiscrezioni riguardo i compensi per la gestione artistica culturale di Expo: 750mila euro più iva spettano a Germano Celant per “la curatela e la direzione artistica dell’Area tematica Food in Art”, mostra presente ad Expo 2015 che racconterà come la cultura del cibo cambia l’uomo e il suo modo di pensare gli spazi, gli oggetti, l’architettura, attraverso tutte le forme artistiche, dalla pittura al cinema. E scoppia il "caso Celant".

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La polemica infiamma la stampa nazionale a partire dalla rivista Arttribune che riporta l'indignazione del critico d'arte siciliano Demetrio Paparoni: "Sarebbe stato corretto fornire ai cittadini, sul sito dell’Expo, le motivazioni e i nomi di chi ha proposto, avallato e votato l’assegnazione di una simile cifra in un momento in cui si chiedono agli italiani sacrifici e si tenta di restituire al nostro Paese una credibilità internazionale che, a giudicare da cosa sta accadendo attorno all’Expo, sarà sempre più difficile conquistare". E per comprendere quanto il compenso di Celant sia spropositato, basti pensare che Massimiliano Gioni, per dirigere la Biennale di Venezia, ha percepito 120.000 euro, e che la stessa cifra è stata assegnata al nuovo curatore, Okwui Enwezor, per un incarico che comprende quasi due anni di attività preparatori all'evento. Insospettisce dunque la cifra per la curatela di una semplice “area tematica”, se si considera che La Biennale è la più importante mostra d’arte contemporanea al mondo. Ma Germano Celant, anche direttore artistico della Fondazione Prada e della Triennale, si difende: "Non ho sensi di colpa per quel compenso, ognuno giudicherà in base ai risultati". Nella cifra sono comprese le spese per "o staff che lavora con me, una decina di assistenti e ricercatori, tutti i viaggi che stiamo facendo per poterci assicurare le opere che vogliamo, la ricerca storica e iconografica, le tasse". Il contratto, firmato il 7 marzo 2013, è stato inoltre accompagnato da un anticipo di 292.000 euro. Ed è giusto sapere che il costo della mostra, ovviamente, è a parte: 5 milioni e 300mila euro.

Paparoni non è stato l'unico ad insorgere, anche Vittorio Sgarbi e di Philippe Daverio hanno rilasciato dichiarazioni critiche e di sconcerto a La Repubblica: "Un giudizio su quel compenso dovrebbe darlo la Corte dei conti, altro che buonsenso e spending review", attacca Sgarbi, "Germano è un ottimo promotore dell’arte contemporanea, ma non sa nulla di tutto il resto". "A titolo gratuito — precisa il critico — Stimo la capacità di Celant di farsi dare soldi, la sua cupidigia è pari ai suoi non meriti e al suo ruolo nelle lobby dell’arte". Ma al di là delle critiche sulle capacità di Celant, considerato in ogni caso uno dei primi tre curatori al mondo, a indignare l'opinione pubblica è soprattutto il paradosso di un compenso così elevato mentre Pompei cade a pezzi, a Firenze le sale degli Uffizi non sono adeguatamente deumidificate per assenza di fondi, e il 23 maggio la Pinacoteca di Brera e il Cenacolo sono rimasti chiusi per uno sciopero contro i tagli al settore dei Beni Culturali. E dopo le inchieste, i bilanci della società in rosso, i quasi 30 milioni che al momento mancano all’appello, gli arresti per tangenti nascoste dietro consulenze e l'intervento del Premier Renzi, stupisce dunque scoprire che vengano ancora assegnati compensi simili per l’esposizione universale. 

Gli scandali e il pericolo di infiltrazioni mafiose nella gestione dei contratti rischiano di rovinare anni di lavoro e mettono in pericolo la riuscita stessa di Expo 2015. "C'è una storia segreta per l’Expo. Una storia mai raccontata nelle dichiarazioni pubbliche sul grande evento che dal primo maggio 2015 a Milano deve rilanciare l’immagine dell’Italia nel mondo. Da una parte il malaffare di alcune imprese che si sono aggiudicate appalti importanti, le infiltrazioni della ‘ndrangheta e il ritardo di un anno sul programma dei lavori. Dall’altra, l’impegno di un gruppo di funzionari dello Stato, a cominciare dal prefetto di Milano, che oggi si ritrova di fronte al bivio: difendere la legalità con la conseguenza di rallentare i cantieri e mettere a rischio l’intera manifestazione, oppure snellire le norme antimafia e abbassare la guardia. La più grande opera pubblica del momento, quasi tre miliardi di spesa tra infrastrutture e organizzazione per ospitare l’Esposizione universale, diventa così la metafora di un Paese all’ultima spiaggia", scrive Fabrizio Gatti su l'Espressso.

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