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Perché impacchettare l’Arco di Trionfo: l’opera di Christo cela allo sguardo per dare valore al significato

L’Arco di trionfo impacchettato è l’opera postuma di Christo, artista bulgaro venuto a mancare nel 2020. Impacchettare monumenti per lui aveva una fortissima valenza: significava nascondere alla vista, ma con lo scopo di evidenziare ancora di più ciò che c’è oltre lo sguardo.
A cura di Giusy Dente
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Il sogno di Christo Javašev era vedere l’Arco di Trionfo impacchettato, ma non ha fatto in tempo: è venuto a mancare il 31 maggio 2020, all'età di 84 anni. L'opera progettata dall’artista bulgaro avrebbe dovuto vedere la luce nell’autunno dello stesso anno, ma la pandemia ha fatto slittare i tempi. Ci hanno però pensato i suoi collaboratori a dare luce all’installazione, realizzata nel rispetto del progetto iniziale assieme al nipote Vladimir Javacheff e col supporto del Centre Pompidou. Si potrà ammirare a Parigi in tutta la sua magnificenza fino al 3 ottobre.

25 mila metri quadrati di tessuto per coprire l'Arco di Trionfo

Impacchettato, imballato, drappeggiato: comunque lo si voglia chiamare, sicuramente così com’è adesso l’Arco di Trionfo non lo ha mai visto nessuno. Il monumento è stato avvolto in ben 25 mila metri quadrati di tessuto blu argentato (polipropilene riciclabile) e da 3 mila metri di corda rossa, che hanno reso il suo aspetto del tutto inedito e moderno. Situato alla fine del viale dei Campi Elisi, in piazza Charles de Gaulle, l’Arc de Triomphe avrebbe dovuto celebrare le vittorie dell’esercito francese, secondo l’idea iniziale di Napoleone nel 1806. La lavorazione, protratta per un tempo più lungo del previsto, ha fatto sì che il suo significato cambiasse nel tempo. Nel 1830 Luigi Filippo riprese i lavori ma con un nuovo spirito: dare all’opera una valenza più unificatrice, per rendere onore a tutti i valorosi combattenti che avevano perso la vita per la Francia in nome del loro spirito patriottico.

Arco di Trionfo impacchettato, Instagram @parisfranceofficial
Arco di Trionfo impacchettato, Instagram @parisfranceofficial

Perché coprire l'Arco di trionfo

Christo ha cominciato a rivolgere la sua attenzione al monumento negli anni Sessanta, anche se il progetto si è concretizzato solo di recente. Si tratta dell'ultima opera che porta avanti il filo conduttore del nascondere, riflessione attuata in questi decenni su altri celebri monumenti in tutto il mondo, ma anche su oggetti comuni. Prima è stata la volta di tavoli e bidoni, poi del Pont Neuf parigino (il ponte più vecchio della città), del Reichstag berlinese (la sede del Parlamento), di Porta Pinciana a Roma nel 1974. Il principio di fondo è privare della sua identità un posto, sottrargli qualunque valore calandolo unicamente nel presente, senza alcun richiamo con la storia e il passato, senza alcun legame personale. Questo nascondere e celare non fa altro che mettere ancora di più in risalto l'oggetto: la sua presenza viene percepita accentuata, proprio perché venuto meno alla vista. L'enigma viene risolto con l'immaginazione, con la fantasia, col pensiero, che vanno a colmare ciò che non si vede con lo sguardo, ma che esiste.

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